di Luigi Tanese
E’ l’antica fabbrica Vincenzo Pinto a riaprire l’affaccio sulla storia della ceramica di Vietri sul Mare, riprendendo un discorso con la gestualità della bottega. E lo fa chiamando quegli attori che, in silenzio d’arte, in questi anni hanno continuato a scrivere un “diverso” e sempre nuovo codice ceramico, pur rispettando la tradizione antica della bottega delle mani.
Così, negli spazi che videro il protagonismo di Irene Kowaliska, Giovannino, Capogrossi, Anelli, si sono ritrovati quei maestri che negli anni novecentosettanta sparsero, tra Vietri e Salerno, semi di innovazione ceramica. E ripartono le idee, le creazioni nuove di forme, di segni, di cromie nel solco della tradizione. Riprende la giusta collocazione e significato l’innovazione ceramica, spazzando via, d’un colpo, le fantasticherie di questi ultimi anni.
Ed è Salvatore Autuori con le sue arditezze d’argilla modellate a istinto di cuore e certezze di idee, decorate a trionfo di contaminazioni d’acciaio, per una storia di un “moderno futurismo ceramico”; Nello Ferrigno con l’uso di colori ancestrali (bianco e nero) a ridisegnare un personale e grazioso bestiario ceramico distribuito su riggiole e loro multipli. Ambedue furono protagonisti di una rigogliosa stagione di idee di quel “gruppo Vietri” che ospitò protagonisti come Porzano, Renzo Biason, Zingone.
E c’è Enzo Caruso, cofondatore con Valerio Ferrara e Carmine Limatola del non meno importante gruppo salernitano “Cooperativa Fornelle”, con le sue “chiazze” di cromie” sparse su superfici d’arte ruvida a suggello di un nuovo espressionismo.
Tra loro, artefici della storia ceramica, si inserisce, a pieno titolo, Virginio Quarta, che usa, con maestria di bottega, il cotto di fondo come colore a ritaglio di smalti e cromie di-segni pittorici.
Appartengono a Salvatore Scalese quelle esaltazioni di ossidi su forme arcaiche innovate in un moderno vocabolario delle forme e delle patine ceramiche, mentre Giuseppe Di Lorenzo, per certi versi “prestato” alla bottega ceramica, distribuisce con sapienza pennellate a gloria di segni grafici.
Sin qui la storia più o meno recente, poi è Piero Gorga, giovane architetto, chiamato in bottega a “provare” per stimoli futuri a ricerca di nuove energie, necessarie ad una continuità storica. Ed è il futuro, il segno “fresco di studio”, ad incastro di esperienza antica della bottega.
Tra queste “sospensioni di idee”, ecco offrirsi Giovannino, con le sue opere ad arredo di fabbrica e sulle quali potente è quel segno che diede movimento alla staticità iconografica degli artisti mitteleuropei del ventennio tra le due grandi guerre.
E’ affiancato da Antonio Franchini con le sue superfici squadrate, concave, convesse sulle quali è un trionfo di energia a geometrie fuggenti. Il silenzio delle riflessioni, delle idee creative accomuna i due artisti nel cammino della storia.
Ed è la mostra, un capitolo nuovo di una storia senza fine; come musicisti che dispongono di solo sette note, questi artisti, nella fabbrica di Vincenzo Pinto, con la limitata tavolozza ceramica e su un immaginario spartito, hanno ri-composto sinfonie d’arte.